mercoledì 7 luglio 2010

"I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri…"

Pippo Fava, giornalista, scrittore e drammaturgo siciliano, fu ucciso il 5 gennaio 1984, freddato con 5 proiettili da alcuni esponenti del clan Santapaola, appena fuori dalla redazione del suo giornale "I Siciliani", primo vero giornale antimafia in Sicilia. Il suo unico ideale si può riassumere così: Verità, senza ne indugi ne compromessi.
7 giorni prima di morire rilasciò un'intervista tv a Enzo Biagi in cui disse:
" I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Bisogna chiarire questo equivoco di fondo: non si può definire mafioso il piccolo delinquente che ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale... quella è piccola criminalità che credo esista in tutte le città italiane e europee. Il problema della mafia è molto più tragico e importante, è un problema di vertici della nazione che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale definitivo l'Italia."


Pippo Fava ci avvertiva già all'inizio degli anni '80 a non considerare la mafia come comune delinquenza, ma qualcosa che aveva a che fare con la classe dirigente. Dire queste cose a quel tempo era "eresia" e Pippo Fava pagò con la morte. Oggi, grazie anche alla tenacia di alcuni e al sacrificio di altri, Falcone e Borsellino inclusi, stanno piano piano venedo alla luce le trame di potere che hanno reso la mafia un "instrumentum regni", come afferma il procuratore aggiunto presso la Procura antimafia di Palermo Roberto Scarpinato:
 "Centinaia di processi che costringono a rileggere la storia della mafia non più come una storia altra, che non ci appartiene e non ci chiama in causa, ma piuttosto come un terribile e irrisolto affare di famiglia, interno a una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio politico, la corruzione sistemica e la mafia."
In uno dei suoi articoli Scarpinato si chiede il perchè così tanta fiction abbia completamente mistificato il problema mafioso, rappresentandolo esclusivamente come un problema di macelleria. Egli parla di una classe dirigente di intoccabili:
"le pagine dei tanti processi che con un tributo altissimo di sangue hanno per la prima volta in Italia portato sul banco degli imputati non solo i soliti brutti sporchi e cattivi, i bravi di Don Rodrigo, ma anche il “Principe” di cui essi sono stati instrumentum regni e scoria, e senza la cui protezione e complicità sarebbero stati da tempo spazzati via. Un album di famiglia di “intoccabili”, che nel loro insieme ricompongono il segreto ritratto di Dorian Gray di una componente irredimibile della nostra classe dirigente: ministri, capi dei servizi segreti, vertici di polizia, parlamentari, alti magistrati, alti prelati, banchieri, uomini a capo di imperi economici.
Sembrano riecheggiare le parole di Pippo Fava:''I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri...''

Sono da segnalare anche le parole di Pietro Grasso:
“E’ un errore grossolano considerare Cosa nostra un ‘antistato’ perché talvolta è dentro lo Stato e la sua connivenza con il sistema di potere è molto più di una semplice ipotesi investigativa”.
Non dimentichiamo che fino a pochi decenni fà la mafia era strenuamente negata in ogni dove da pressochè tutti i grandi rappresentanti delle istituzioni. Tutti quelli che ne parlavano erano descritti come paranoici e folli, l'equivalente degli odierni "complottisti". Negli Usa questa società era praticamente sconosciuta fino al 1963, quando il membro di "Cosa Nostra" Joe Valachi per primo rivelò i segreti della società ai funzionari di polizia. Era noto che la criminalità organizzata esisteva, ma non la portata del loro controllo incluso il lavoro con la CIA, i politici e le maggiori imprese del mondo. Joe Valachi si può considerare il vero primo pentito di mafia.
Un articolo di Alessandro Gilioli afferma:

La mafia non esiste
“La mafia non esiste” era il ritornello con cui negli anni ‘60 e ‘70 i politici democristiani in Sicilia irridevano i non molti che denunciavano il crescente intreccio di potere tra Cosa Nostra e i sindaci, gli assessori, i parlamentari, i ministri.
“La camorra da noi non esiste” è l’arrogante dichiarazione con cui il rappresentante del governo italiano a Parma ha irriso le denunce di Roberto Saviano sugli affari dei Casalesi in Emilia, in passato segnalate anche da L’espresso. 
La delegittimazione è sempre stata, nella storia delle mafie, uno strumento molto potente e molto gradito alle cosche, con effetti a volte esiziali. Stupisce poco, anche se rattrista molto, il fatto che torni a usarlo il rappresentante di un governo che ha un viceministro molto in odore di camorra. 
Ancora adesso si sente spesso ripetere che la mafia non esiste: ecco ad esempio Dell'Utri:



Per Vittorio Sgarbi nel 2008:"La mafia a Salemi non c'è, a Palermo è pressoché debellata, a Ragusa non c'è, a Siracusa non c'è, a Messina non c'è, forse c'è a Gela, forse a Trapani" e poi "Ho girato la Sicilia e non ho mai incontrato un mafioso in senso attivo - dichiara Sgarbi ad Ateneonline - e secondo me la mafia è stata ormai debellata dallo Stato, anche se per alcuni questo è un motivo di insoddisfazione"; mentre il presidente dell'ordine dei giornalisti siciliani Franco Nicastro, noto "allarmista" e "catastrofista" rispondeva: "ESPRESSIONI DA CODICE MAFIOSO".
Nel 2006 Gian Carlo Caselli disse:
"E oggi sembra a volte riaffiorare prepotente, in certi media e in ampi settori della politica (con contaminazioni anche a sinistra), la perversa tendenza a dire o far credere - come tanti anni fa - che la mafia non esiste. Certo, nessuno osa dirlo esplicitamente, con la brutale schiettezza che tempo addietro caratterizzava fior di notabili, compresi cardinali e procuratori generali. Le tecniche si affinano, oggi si è meno rozzi e ci si limita a non perdere occasione per provare a ridurre "Cosa nostra" ad organizzazione criminale sanguinaria, sì, ma tutto sommato anche folcloristica. Emblematiche, al riguardo, sono certe cronache su Provenzano che intrecciano prostata e cicoria, pannoloni e pizzini, vangeli e macchine per scrivere antidiluviane, covi mezzo diroccati, squallidi e sporchi, con rotoli di banconote, santini e formaggi custoditi alla rinfusa."
Quante volte ci siamo sentiti dire questa frase, la mafia non esite, non esiste un gruppo così grande ed organizzato con un ordinamento simile a quello di un piccolo stato con capo,vice e consiglieri, a quanto pare non è così." Qualcuno" parlando di mafia disse: Si spara in Sicilia ma si combatte a Roma.




Su Pippo Fava
http://www.fondazionefava.it/

Parole di Pippo Fava: ”I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri…”
http://www.proletari.com/new/parole-di-pippo-fava-i-mafiosi-stanno-in-parlamento-sono-a-volte-ministri-sono-banchieri.html