martedì 21 agosto 2012

Ignazio di Loyola

di Edmond Paris
estratto del libro
The Secret History of the Jesuits, pag. 15-19
traduzione:
http://nwo-truthresearch.blogspot.it

Il fondatore della Compagnia di Gesù, lo spagnolo basco don Inigo Lopez de Recalde, nacque nel castello di Loyola, in provincia di Guipuzcoa, nel 1491. Fu uno dei più strani tipi di monaci-soldato che furono mai generati dal mondo cattolico; tra tutti i fondatori degli ordini religiosi, egli può essere considerato come colui che ha lasciato il segno più forte nella mente e nel comportamento dei suoi discepoli e dei suoi successori. Questa potrebbe essere la ragione di tale "look familiare" o "marchio di fabbrica", un fatto che va fino alla somiglianza fisica. Mr. Folliet contesta questo fatto (1), ma molti documenti dimostrano la permanenza di un tipo "gesuita" attraverso i secoli. La più divertente di queste testimonianze si trova presso il museo Guimet; sullo sfondo d'oro di un'immagine del 16° secolo, un artista giapponese ha ritratto, con tutto il senso dell'umorismo della sua razza, lo sbarco dei portoghesi, e dei figli di Loyola in particolare, sulle isole nipponiche.
Lo stupore di questo amante della natura e dei colori brillanti è evidente nel modo in cui raffigurò le lunghe ombre nere con le loro facce tristi in cui si condensa tutta l'arroganza del dominatore fanatico.
La somiglianza tra l'opera dell'artista orientale del 16° secolo e il nostro Daumier del 1830 è lì per essere visionata da tutti.
Al pari di molti altri santi, Inigo, che ha poi romanizzato il suo nome diventando Ignazio, sembrava ben lungi dall'essere colui che era predestinato ad illuminare i suoi contemporanei (2). La sua tempestosa giovinezza fu piena di errori e anche di "crimini odiosi". Un rapporto della polizia disse che egli era "infido, brutale, vendicativo". Tutti i suoi biografi ammettono che egli non fu secondo a nessuno dei suoi compagni in materia di violenza degli istinti, allora una cosa comune.
"Un soldato ribelle e presuntuoso", disse uno dei suoi confidenti, "egli ha condotto una vita sregolata per quanto riguarda le donne, il gioco d'azzardo e i duelli", aggiunse il suo segretario polacco (3). Tutto questo è ricollegato a noi attraverso uno dei suoi figli spirituali, R.P. Rouquette, che cercò in qualche modo di spiegare e giustificare questo bollente stato d'animo che giunse poi ad essere rivolto "ad majorem Dei gloriam". (Per la maggiore gloria di Dio). Al pari di molti eroi della Chiesa Cattolica Romana, fu necessario un violento colpo fisico per cambiare la sua personalità. Egli era stato paggio del tesoriere di Castiglia fino alla disgrazia del suo padrone. Poi divenne un gentiluomo al servizio del viceré di Navarra; dopo aver vissuto la vita di un cortigiano fino a quel momento, il giovane cominciò la vita di soldato, difendendo Pamplona contro i francesi comandati dal conte di Foix. La ferita che decise la sua vita futura gli fu inflitta nel corso di tale assedio. Una gamba rotta da un proiettile, egli fu portato dai francesi vittoriosi a suo fratello Martin Garcia, al castello di Loyola. Ora inizia il martirio di un intervento chirurgico senza anestesia, a cui dovette sottoporvisi una seconda volta, perché il lavoro non era stato fatto in modo corretto. La sua gamba venne di nuovo rotta e ricomposta. Nonostante tutto ciò, Ignazio fu lasciato zoppo. Si può comprendere che solo egli bisognasse di un'esperienza come questa, tale da indurlo ad un esaurimento nervoso. Il "dono delle lacrime", che fu poi conferito a lui "in abbondanza",  e nel quale i suoi pii biografi vedono un dono dall'alto, è forse solo il risultato della sua natura altamente emotiva, che d'ora in poi influirà su di lui sempre di più. Il suo unico intrattenimento, mentre giaceva ferito e sofferente, fu la lettura della "Vita di Cristo" e la "Vita dei Santi", gli unici libri che si trovavano nel castello. 
Mentre egli era praticamente senza alcuna istruzione e ancora affetto da un terribile shock, l'angoscia della passione di Cristo e il martirio dei santi ebbero su di lui un impatto indelebile; questa ossessione portò il guerriero paralizzato sulla strada dell'apostolato. "Egli mise i libri da una parte e sognò ad occhi aperti. Un chiaro caso di sogno da svegli, questo fu una continuazione, negli anni adulti, del gioco immaginario del bambino...se lasciamo che essi invadano la sfera psichica il risultato è la nevrosi e la resa della volontà, ciò che è reale passa in secondo piano!..."(4)
A prima vista, questa diagnosi sembra difficile da applicare al fondatore di tale ordine attivo, né ad altri "grandi mistici" e creatori di società religiose, i quali, apparentemente, avevano tutti grandi capacità di organizzazione. Però ci accorgiamo che tutti loro non sono in grado di resistere alla loro immaginazione iperattiva e, per loro, l'impossibile diventa possibile.
Ecco ciò che lo stesso autore dice a questo proposito:"Voglio sottolineare l'ovvio risultato della pratica del misticismo da parte di qualcuno che possiede una brillante intelligenza. La mente debole che indulge nel misticismo è su un terreno pericoloso, ma il mistico intelligente presenta un più grande pericolo, perché il suo intelletto funziona in modo più ampio e profondo...Quando, in un'intelligenza attiva, il mito prende il sopravvento sulla realtà, diventa mero fanatismo; un'infezione della volontà, la quale soffre di un parziale ingrandimento o distorsione"(5).
Ignazio di Loyola fu un esempio di prima classe di quel "misticismo attivo" e "distorsione della volontà". Tuttavia, la trasformazione del signore guerriero nel "generale" dell'ordine più militante nella Chiesa Romana, fu molto lenta; vi furono molti passi incerti prima che egli trovasse la sua vera vocazione. Non è nostra intenzione seguirlo in tutte le varie fasi. Ricordiamo i punti principali: nella primavera del 1522 egli lasciò il castello ancestrale, con in mente la decisione di diventare un santo simile a quelli le cui gesta edificanti egli lesse in quel grande volume "gotico".
Inoltre, non gli apparse la Madonna stessa una notte, tenendo in braccio il bambin Gesù? Dopo una completa confessione presso il monastero di Montserrat, egli aveva in programma di andare a Gerusalemme. La peste si era diffusa a Barcellona e, siccome tutto il traffico marittimo si era fermato, egli dovette rimanere a Manresa per quasi un anno. Lì egli trascorse il suo tempo in preghiere, orazioni, lunghi digiuni, autoflagellazioni, praticando tutte le forme di macerazione e non mancando mai di comparire davanti al "tribunale della penitenza", anche se la sua confessione a Montserrat era durata apparentemente tre giorni interi; una confessione completa sarebbe stata sufficiente per un peccatore meno scrupoloso. Tutto questo mostra chiaramente lo stato mentale e nervoso dell'uomo. Finalmente liberato da questa ossessione del peccato con la decisione che esso era solo un trucco di Satana, si dedicò interamente alle visioni diverse e abbondanti che avevano tormentato la sua mente febbrile. 

"E' a causa di una visione", dice H. Boehmer, "che egli iniziò di nuovo a mangiar carne; fu tutta una serie di visioni che gli rivelarono i misteri del dogma Cattolico e lo aiutarono a viverlo veramente: in questo modo egli medita sulla Trinità sotto forma di uno strumento musicale con tre corde; sul mistero della creazione del mondo attraverso 'qualcosa' di nebuloso e la luce che esce da un raggio di sole; sulla miracolosa discesa di Cristo nell'Eucarestia sotto forma di lampi di luce che entrano nell'acqua consacrata, quando il sacerdote la solleva pregando; sulla natura umana di Cristo e della santa Vergine sotto forma di un corpo candido e sfolgorante; ed infine su Satana come uno dalle forme sinuose e scintillanti simile ad una moltitudine di occhi sfavillanti e misteriosi" (6). Non è questo l'inizio della ben nota fabbricazione di immagini gesuite?
Il signor Boehmer aggiunge che fu rivelato a lui il senso profondo dei dogmi, come un favore speciale dall'alto, attraverso intuizioni trascendentali.
"Molti misteri della fede e della scienza divennero a lui improvvisamente chiari e in seguito egli pretese di aver imparato di più in quei brevi momenti che durante i suoi interi studi; tuttavia, non fu mai in grado di spiegare cosa fossero questi misteri che gli divennero improvvisamente chiari. Vi era rimasto solo un vago ricordo, una sensazione di qualcosa di miracoloso, come se, in quel momento, egli fosse diventato "un altro uomo con un'altra intelligenza".(7)
Tutto questo potrebbe essere il risultato di un disturbo nervoso e potrebbe essere identificato con ciò che accade ai fumatori di oppio e ai mangiatori di hashish: l'allargamento o estensione dell'io, quell'illusione di impennarsi fino al di là di ciò che è reale, una sensazione folgorante che lascia solo una memoria stordita. Le beate visioni e illuminazioni furono compagne costanti di questo mistico per tutta la sua vita. 

"Egli non mise mai in dubbio la realtà di queste rivelazioni. Egli cacciava Satana con un bastone, come avrebbe fatto con un cane rabbioso; parlava con lo Spirito Santo, come si fa in effetti con un'altra persona; egli chiedeva l'approvazione di Dio, della Trinità e della Madonna, in tutti i suoi progetti e scoppiava in lacrime di gioia quando gli apparivano. In quelle occasioni egli aveva un assaggio della beatitudine celeste; i cieli erano aperti a lui, e la divinità era a lui visibile e percepibile."(8)
Non è questo il perfetto caso di una persona allucinata?

Sarà proprio questa stessa divinità percepibile e visibile che i figli spirituali di Loyola offriranno costantemente al mondo - non solo per ragioni politiche, appoggiando e lusingando la profonda inclinazione del cuore umano per l'idolatria - ma anche per convinzione, essendo stati per bene indottrinati. Fin dall'inizio nella Compagnia di Gesù era prevalso il misticismo medioevale; esso è ancora il grande animatore, nonostante i suoi aspetti mondani, intellettuali e colti assunti rapidamente. Il suo assioma di base è il seguente:"Tutte le cose a tutti gli uomini". Le arti, la letteratura, la scienza e anche la filosofia sono stati dei semplici mezzi o reti per la cattura delle anime, al pari delle facili indulgenze concesse dai suoi casisti e per le quali costoro furono così spesso rimproverati di lassismo. Per questo Ordine non vi è regno in cui non si possa lavorare sulla debolezza umana, al fine di incitare lo spirito e la volontà ad arrendersi e ritornare ad una devozione più infantile e riposante. Così essi lavorano per la promozione del "regno di Dio" secondo il proprio ideale: un grande gregge sotto la cura pastorale del Santo Padre. Che degli uomini dotti potessero avere un tale ideale anacronistico sembra molto strano, ma è innegabilmente così ed è la conferma di un fatto spesso trascurato: la preminenza delle emozioni nella vita dello spirito. Inoltre, Kant disse che ogni filosofia non è che l'espressione del temperamento o del carattere del filosofo.
A prescindere dai suoi metodi individuali, tra di essi il "temperamento" gesuitico sembra più o meno uniforme. "Una miscela di pietà e diplomazia, ascetismo e mondana saggezza, misticismo e freddo calcolo; come fu il carattere di Loyola, così è anche il marchio di fabbrica di questo Ordine".(9)
In primo luogo, ogni gesuita sceglie questo ordine particolare a causa delle sue disposizioni naturali, ma diventa veramente "figlio" di Loyola dopo test rigorosi e training sistematici della durata non inferiore a quattordici anni. In questo modo, il paradosso di questo Ordine è continuato per 400 anni: un Ordine che si sforza di essere "intellettuale", ma, allo stesso tempo, è sempre stato, all'interno della Chiesa di Roma e nella Società, il campione della più severa predisposizione.

(1) "La Croix", 31 st of July 1956.

(2) Like Saint Augustine, Saint Francis of Assisi and many others.
(3) R.P. Jesuit Robert Rouquette, "Saint Ignace  de Loyola" (Ed. Albin Michel, Paris 1944, p.6).
(4) R.P. Jesuit Robert Rouquette, op.cit., p.9.
(5) Dr Legrain, "Le Mysticisme et la folie" (Ed. de l'ldee Libre, Herblay (S.-et-O.) 1931, pp.14-16).
(6) and (7) H. Boehmer, professor at the University of Bonn, "Les Jesuites" (Armand Colin, Paris 1910, pp. 12-13).
(8) H. Boehmer, op.cit., p. 14.
(9) J.  Huber, professor of catholic  theology in  Munich, "Les Jesuites" (Sandoz et Fischbacher, Paris 1875, p. 127)

dello stesso libro leggi anche:

Le missioni dei Gesuiti in India, Giappone e Cina